Manzoni e le arti figurative: le illustrazioni de I Promessi sposi

Manzoni e le arti figurative: le illustrazioni de <em>I Promessi sposi</em>

Francesco Gonin, illustrazione di Renzo con i quattro capponi, dopo l’incontro con Azzeccagarbugli, cap. III, 1840.

La straordinarietà del più celebre romanzo della letteratura italiana non è dovuta soltanto a un intreccio ricco di avventure che coinvolgono e fanno riflettere il lettore: la sua complessità e il suo fascino risiedono anche in una serie di espedienti ideati da Alessandro Manzoni, tra cui l’inserimento di un ricco corredo di immagini firmate da Francesco Gonin.

Tra gli aspetti più noti legati alla lunga gestazione de I promessi sposi c’è sicuramente la celebre “risciacquatura dei panni in Arno”. Nel 1827, conclusa la seconda redazione (cioè la revisione della prima minuta, intitolata Fermo e Lucia); Manzoni parte con la famiglia per Firenze, recando con sé la propria opera, appena uscita dai torchi dell’editore milanese Ferrario (1827). L’autore aveva programmato il viaggio non soltanto per ristorare la salute malferma, ma anche per avviare la revisione conclusiva del romanzo, che porterà alla stampa definitiva della cosiddetta “Quarantana”. L’edizione del 1840 non è tuttavia solo riveduta dal punto di vista linguistico, con la correzione di ogni inflessione dialettale lombarda e delle forme più arcaiche della lingua toscana, ma anche realizzata in carta pregiata e corredata da illustrazioni xilografiche a commento della narrazione.

Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, 1841. Olio su tela, 120×92,5 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.
Antiporta dell’edizione del 1840.

Per la loro realizzazione, contattò moltissimi artisti, tra cui Francesco Hayez autore di un suo ritratto e di una raffigurazione dell’Innominato, ma alla fine scelse, per il tramite del genero Massimo d’Azeglio, un giovane piemontese: Francesco Gonin (1808-1889). La maestosità di quest’opera, stampata a Milano da Guglielmini e Radaelli tra il 1840 e il 1842, è evidente già dal frontespizio e dall’antiporta, che fungono da premessa e riassunto illustrato delle tribolazioni degli sposi promessi.
Le illustrazoni, caratterizzate dalla finezza del tratto e dalla grande capacità narrativa tipiche di Gonin, si incastrano perfettamente nel romanzo. Talvolta lo stesso Manzoni ha apportato degli aggiustamenti alla forma letteraria per costruire una concordanza perfetta tra testo e immagine. Basta sfogliare la copia digitalizzata dalla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano per rendersi conto dell’accurato lavoro che lo scrittore e l’artista hanno congegnato.

Francesco Gonin non solo ha raccontato per immagini le disavventure di Renzo e Lucia fino alla celebrazione delle nozze, ma ha fissato una vera e propria iconografia, approvata da Manzoni, a cui si sono dovute attenere tutte le trasposizioni successive dell’opera. L’acribia dell’illustratore non riguarda soltanto la caratterizzazione delle figure che popolano la scena, ma anche la rappresentazione dei paesaggi e la caratterizzazione degli ambienti. Un esperimento perfettamente riuscito che ha stupito anche lo scrittore Ippolito Nievo che ha notato il valore ecfrastico del testo e la meticolosità delle immagini: «la scena dei Promessi Sposi è proprio stupenda, più a vederla che a leggerla».

Francesco Gonin, illustrazione dell’incontro tra Don Abbondio e i bravi, cap. I, 1840.

Certamente la strategia manzoniana mira ad ascrivere la propria opera nel novero delle imprese letterarie europee più all’avanguardia e a creare un romanzo popolare: se la parola scritta poteva risultare poco chiara, l’immagine favoriva l’identificazione, una maggiore comprensione del testo e l’immedesimazione del lettore/osservatore nelle vicende di Renzo e Lucia. Anche le raffigurazioni, come l’espediente del manoscritto anonimo da cui si immagina provenga il racconto, sono strumenti utili alla trasposizione della società reale dell’Ottocento nella finzione seicentesca.

Il merito di Francesco Gonin è quello di aver saputo cogliere tutte le sfumature dei personaggi manzoniani e di aver reso la loro complessa psicologia, che spazia dall’ironico al grottesco, dal solenne al cattivo, attraverso il segno grafico e la tecnica dell’appena nata arte xilografica. Alla matita affilata di Gonin non è sfuggito neppure l’autore, ritratto nelle vignette che corredano l’introduzione. Probabilmente raffigura Manzoni, il personaggio di profilo seduto sulla poltrona che rappresenta una “L” nell’incipit dell’opera.

Dopo aver esposto al lettore le ragioni della sua opera, Alessandro Manzoni si lascia ritrarre da Gonin davanti al camino in pantofole e giacca da camera. Con una mano regge il volume, con l’altra saggia il calore del camino; la scena è completata da una libreria piena di libri, un tavolo imbandito con gli strumenti per scrivere e un cesto pieno di fogli accartocciati: lo scrittore, dopo un lunghissimo lavoro, ha appena concluso la propria opera e si accinge a ripercorrere le pagine appena vergate che, con aria di domestica familiarità, porge anche al lettore.

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