Tra tutti i riquadri realizzati da Giotto nella Cappella Scrovegni di Padova, quello che raffigura l’incontro tra Anna e Gioacchino, futuri genitori di Maria (ultimo di una serie di sei affreschi riferiti alla loro storia), possiede qualcosa di speciale e di anomalo rispetto alla tradizione iconografica: si tratta della rappresentazione del bacio.
Si tratta di un atto assolutamente impensabile nella cultura moralistica dell’intero Medioevo, nonostante la Bibbia, a partire dalla Genesi, sia piena di baci, da quello di Jahvè a Mosè a quello sentimentale tra Giacobbe e Rachele, e a quelli di affetto o di saluto, di ossequio o di rispetto. Se si cercasse una immagine sensuale simile a questa la si potrebbe trovare solo in un ambito moderno, nelle licenziosità settecentesche o nell’ardore romantico dell’Ottocento. Prima di allora, infatti, il bacio non appartiene alla tradizione iconografica antica, né classica (se si escludono gli affreschi popolari dei lupanari pompeiani), né medievale (presente solo e in maniera morigerata in alcuni libri d’ore), né rinascimentale (se si fa eccezione per alcune rare testimonianze cinquecentesche come nella Venere e Cupido del Bronzino o, più avanti, nella foga fiamminga di Rubens).
Giotto, in questo riquadro, mette in scena un difficile racconto religioso, che la scena del bacio dovrebbe condensare e risolvere.
Nei cinque riquadri precedenti Giotto illustra la storia dei genitori della madre di Gesù, così come tramandata da alcuni Vangeli apocrifi, tra cui il protovangelo di Giacomo e il Vangelo dello pseudo Matteo, e che sarà in parte ripresa da Jacopo da Varazze nel 1200, che era stato particolarmente seguito da Giotto nella tendenziosa ricostruzione della vita di san Francesco negli affreschi della Basilica di Assisi. È necessario riandare a queste narrazioni per avvicinarci alla nostra immagine, altrimenti incomprensibile.
Tali fonti raccontano della vicenda coniugale di Anna e Gioacchino, quest’ultimo incapace di procreare e per questa ragione cacciato e obbligato all’esilio. Gioacchino potrà tornare a riabbracciare Anna solo quando un angelo, apparso in sogno ad ambedue, informerà del miracoloso concepimento della donna. Le fonti su questo punto si discostano, aprendo una questione teologica risolta solo con l’intervento di un dogma cattolico proclamato da Pio IX in una data relativamente recente, il 1854.
L’affresco ricostruisce il punto focale dell’episodio: il bacio che i due protagonisti si scambiano davanti alla cosiddetta Porta d’oro di Gerusalemme, e che Giotto raffigura fermi sul ponte che collega il mondo naturale a quello della città fortificata da cui Anna è appena uscita. Anna è accompagnata dalle amiche sontuosamente vestite, a indicare il loro ruolo sociale; una tra queste, con il volto semicoperto dal lembo di una veste scurissima, aggiunge una nota inquietante alla composizione.
La costruzione piramidale delle due figure culmina nel vertice nel quale le due teste sembrano fondersi l’una nell’altra, bocca contro bocca. Noi vediamo tuttavia solo il profilo completo del volto di Gioacchino; quello di Anna è parzialmente nascosto, coperto da quello dello sposo.
La spiegazione può essere ricondotta alla scelta operata da Giotto di seguire l’interpretazione dell’evento offerta da alcune fonti, secondo le quali sarebbe a partire da questo incontro fisico, così simbolicamente e poeticamente illustrato, che dovremmo collocare l’atto del concepimento.
Il bacio rappresenterebbe, dunque, un amplesso ideale.
Così sembra confermato nel passo del Vangelo dello pseudo Matteo, nel quale è ricordata la frase pronunciata in quel momento da Anna: «Gli corse incontro, si appese al suo collo rendendo grazie a Dio e dicendo: Ero vedova ed ecco non lo sono più; ero sterile ed ecco ho già concepito» (3.5).
Altrettanto chiara è l’affermazione contenuta nel protovangelo di Giacomo: «Gli corse incontro, si appese al suo collo esclamando: Ora so che il Signore Iddio mi ha benedetta molto. Ecco infatti, la vedova non più vedova, e la sterile concepirà nel ventre» (4.11).
Discostandosi da tali racconti, Jacopo da Varazze, rievocando l’annuncio dell’angelo che comunica a Gioacchino di essere divenuto padre, scriverà nella Legenda aurea (1298): «Io sono un angelo di Dio e oggi sono apparso a tua moglie che piangeva e pregava, e l’ho consolata: sappi che dal tuo seme concepì una figlia e tu, ignorandolo, l’hai lasciata» (PM 3, 1-2). Il testo dà quindi per scontato che Giuseppe si era allontanato dalla moglie già incinta.
Giotto si trova di fronte ad un dilemma: sceglie la versione evangelica, tradendo il suo Jacopo da Varagine, che tanto aveva seguito nel ciclo precedente ad Assisi. La ragione della interpretazione evangelica è data dalla volontà di seguire l’autorità della Chiesa, che imponeva di escludere Maria, la futura madre di Gesù, da ogni collegamento con l’atto sessuale. In questo modo si preservava l’idea della sua verginità, condizione sancita dal dogma di fede della cosiddetta Immacolata Concezione, sostenuto dai francescani in opposizione ai domenicani. La santa procreazione, pertanto, non doveva essere raffigurata come effetto di un rapporto carnale, ma come risultato di un atto spirituale.
Giotto introduce nella rappresentazione del bacio un elemento psicologico: alla quasi voracità delle labbra di Gioacchino, al suo sguardo quasi privo di dolcezza e alla mano che si appoggia in segno di possesso sulla spalla di Anna, fa riscontro il gesto carezzevole, paziente e amoroso, e profondamente femminile di questa.
Il bacio è presente in un altro riquadro famoso del medesimo ciclo di affreschi. Dalla parte opposta rispetto questo momento d’amore vi è raffigurato quello, altrettanto potente, del tradimento, rivelato da un bacio inconcluso: quello di Giuda, che protende il volto quasi animalesco verso la commovente espressione, mista di sorpresa e di timore, del Cristo, il quale si ritrae dall’abbraccio che ne decreta la morte.
Osserva nella galleria i sei affreschi della Cappella degli Scrovegni che compongono le Storie di Anna e Gioacchino.
Per approfondire
Link esterni
Osserva la Cappella degli Scrovegni nel video a cura del Ministero della Cultura
Il professor Ernesto L. Francalanci è l’autore del corso dell’Arte