Si può rappresentare il pensiero? certamente no, ma è possibile raffigurare colui che sta manifestamente pensando.
Tra tutte le opere che hanno come soggetto il pensiero il capolavoro di Dürer, intitolato Melenconia I, è il più famoso. Da uno specifico particolare – la testa sorretta dalla mano – comprendiamo che la figura ritratta sta meditando, ma può un unico indizio rivelarci il pensiero del personaggio e perciò il significato complessivo dell’opera?
Questa incisione, realizzata nel 1514 dall’artista tedesco Albrecht Dürer, raffigura uno strano angelo dai caratteri ermafroditi, ritratto in posizione raccolta, chiuso in se stesso, con il volto dall’espressione corrucciata, circondato da strumenti di calcolo, di previsione e di misurazione, abbandonati attorno a sé. Ma è proprio il particolare della testa appoggiata alla mano chiusa a pugno, ad offrirci la chiave interpretativa dell’intera opera e nello stesso tempo evocare un riferimento alla vicenda politica, religiosa e culturale europea.
Tra il 1500 e il 1514 tutta l’Europa, mentre Francia Spagna e Impero si contendono parti d’Italia, è scossa da una grande accelerazione culturale di cui possiamo solo indicare alcuni fattori: i viaggi di conquista oltreoceano, la diffusione internazionale delle riproduzioni a stampa di opere artistiche e degli stessi libri in ottavo – per merito di Manuzio, la conoscenza di quanto sta avvenendo di più rivoluzionario in Italia, che porta a conclusione il primo Rinascimento con le opere di Leonardo, di Giorgione e di Tiziano, e soprattutto con i grandi capolavori di Michelangelo nella Sistina e di Raffaello nelle Stanze vaticane, nei quali si anticipano molti degli elementi che caratterizzeranno il Manierismo, il primo segnale di una radicale modernizzazione in senso concettuale dell’arte.
Pur consapevole delle conquiste che stanno avvenendo in tutti i campi, la cultura europea comincia a riflettere sui confini del sapere e della stessa arte nella spiegazione e nella rappresentazione della complessità del mondo e s’interroga sulla forma del politico nella sua funzione di governo. Machiavelli dà alle stampe il Principe nel 1513. È su questo immenso problema che riguarda l’agire dell’uomo, nonché la sua coscienza, che sta riflettendo il grande angelo.
Il significato di quest’opera, una delle più misteriose ed emblematiche realizzate da Dürer, consiste infatti nella dimostrazione dell’impossibilità delle tecniche, delle scienze e delle filosofie di riuscire a cambiare il mondo. L’angelo sta malinconicamente osservando gli strumenti realizzati dall’uomo al servizio del sapere e che giacciono inutilizzabili ai suoi piedi.
Numerosi oggetti di misurazione, di controllo e di ricerca, pieni di riferimenti simbolici, appaiono disseminati nell’ambiente. Il libro, il calamaio, il righello e il compasso rimandano allo studio rigoroso; la clessidra e la bilancia alla misura del tempo e della giustizia; la sega al lavoro costruttivo; il romboide tronco alla geometria descrittiva e alla scienza prospettica; un crogiolo di forma triangolare poggiato su un fornello acceso, all’alchimia; il pipistrello e il cane addormentato al mondo della sera. Sullo sfondo una tavoletta porta incisa dei numeri; si tratta d’un quadrato magico in cui la somma di varie serie di numeri offre un risultato uguale.
Tra tutti gli oggetti raffigurati domina la presenza d’un compasso appoggiato alla gamba dell’angelo e tenuto in mano per una delle punte a dimostrare la sua inoperosità. Tale punta, infatti, è rivolta verso il corpo stesso dell’angelo quasi a porre simbolicamente la domanda se l’uomo, che la classicità e il Rinascimento avevano celebrato come misura di tutte le cose, possa ancora essere il centro della riflessione filosofica e scientifica.
Ma l’opera ci dice che il genio è ormai inerte: la forza delle idee non sembra che riesca più a trasformarsi in un’azione capace di cambiare il mondo. Sullo sfondo un putto traccia su un foglio inutili segni.
Tra tutti gli strumenti il righello è rotto, la sega ha la dentatura rovescia, la bilancia, la clessidra e la campana sono troppo aderenti alle pareti della torre, la macina e il solido ottaedrico sono scheggiati.
Osserva nella galleria il dettaglio di alcuni degli oggetti raffigurati da Dürer…
Molti sono stati i tentativi interpretativi che legano quest’opera alla condizione tipica dell’artista, «un essere creativo – come afferma Panofsky – ridotto alla disperazione dalla consapevolezza di barriere insormontabili che lo separano da un più alto dominio di pensiero»: sarebbe questo il suo destino, di essere nato sotto il segno di Saturno, «il pianeta dei malinconici. Già i filosofi del secondo Rinascimento avevano compreso che gli artisti emancipati del loro tempo mostravano le caratteristiche del temperamento saturnino: erano contemplativi, assorti, cogitabondi, solitari e creatori. La nuova immagine dell’artista alienato nasce in questo momento critico della storia» (Margot Wittkower, Rudolf Wittkower, Nati sotto Saturno). S’era capito che la fatica del pensiero, artistico o politico, non rende sereni, ma al contrario sempre più dubbiosi sui risultati concreti.
Già Aristotele, nel IV secolo a.C., aveva affermato che «tutti gli uomini eccezionali, nell’attività filosofica o politica, artistica o letteraria hanno un temperamento “melanconico” […], tra questi Empedocle, Platone e Socrate».
Alcuni studiosi, tra cui Maurizio Calvesi, hanno approfondito la componente alchemica ed esoterica evidenziata da tutta una serie di elementi di prova, tra cui il fatto che un libro, allora riscoperto, come il De Occulta Philosophia di Cornelius Agrippa fosse ben noto a Dürer.
L’angelo è ritratto in una posizione che, da questo momento in poi, sarà per sempre associata al concetto di malinconia. Si tratta d’una figura che era stata individuata sin dai tempi dell’arte greca, ma solo con quest’opera essa diventerà una icona immortale.
Ritroveremo questa particolare figura di un personaggio con la testa sorretta dalla mano in alcune opere anche dell’arte moderna: in Rodin, per esempio, in Van Gogh o in de Chirico.
La malinconia, per de Chirico, è generata dalla constatazione che l’esistenza dell’uomo sia un continuo e insondabile mistero e il cui fine ci sia ignoto. Sono le stesse riflessioni che attraversano il pensiero di Schopenhauer e di Nietzsche, i filosofi che – come de Chirico confesserà – «per primi mi insegnarono il non-senso della vita, e come tale non-senso potesse venire trasmutato in arte». In un certo qual senso la crisi della razionalità moderna, agli inizi del Novecento, può essere messa in confronto con quella che attraversò, come abbiamo detto, l’intera Europa, agli inizi del Cinquecento, in ambedue i casi promuovendo un rinnovamento delle arti.
Per approfondire
Bibliografia
- R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melancolia, Torino, Einaudi, 2010
- M. Wittkower, R. Wittkower, Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’antichità alla Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 2016
Il professor Ernesto L. Francalanci è l’autore del corso dell’Arte