La nuvola grigia di pioggia, fermata nel cielo della Camera degli sposi per tutto il tempo della nostra presenza, sta indicando che non solo sopra la nobiltà dei principi corre il destino ineluttabile del tempo, ma anche su di noi.
Sul soffitto della Camera degli Sposi Mantegna realizza un capolavoro di grande illusionismo pittorico: un oculo che sembra sfondare la massa muraria e mostrare uno squarcio celeste di cielo. Da tutto attorno alla balaustra si affacciano putti alati e figure femminili. È come se fossero protesi sul bordo di un pozzo, sul fondo del quale, in questa prospettiva rovesciata, si viene a trovare lo spettatore.
Il cielo è atmosferico, realistico. Sta passando una nuvola gonfia di vapore, accompagnata da alcune più piccole. Mai prima di allora una nuvola fu raffigurata con tale verità: essa sta a significare che quel cielo non ha nulla a che fare con l’infinito, l’assoluto e il divino. È il cielo che sovrasta la corte dei Gonzaga e la città di Mantova.
Ma è un cielo che contiene a sua volta un segreto: nella nuvola che sta passando Mantegna inserisce l’immagine del proprio ritratto. Non è facile percepirlo: presuppone una predisposizione alla ricerca degli indizi segreti, condizione obbligata per lo sguardo dell’arte.
La storia della raffigurazione delle nuvole nella pittura è oggetto di studi particolari e profondi, che variano dalla estrema specializzazione alla intelligenza ludica, come la Nubilogia e la Nubignosia. Nuvole e nebbie, caligini e foschie, il cui regno è sfumato e transitorio, e il cui repertorio immaginario contiene un infinito numero di suddivisioni, di classi e di categorie, sono state raffigurate dagli artisti come se anch’esse, come gli oggetti, possedessero un limite, un confine, un bordo. Ma questi vapori sospesi, apparentemente privi di materia e di peso, cambiano repentinamente aspetto a seconda dello strumento con cui li indichiamo; sono neri al tocco della matita sul biancore del foglio, sono bianchi a quello del pennello sullo sfondo ceruleo del cielo, non senza sfumature nel grigio e nel piombo.
La rappresentazione illusoria di queste entità fugaci non è che la metafora del transitorio e dell’impossibilità di raffigurare il bordo di qualsiasi corpo organico o entità fisica, poiché la sua spazialità non è definita da una linea ma da una curvatura continua nella profondità tridimensionale che l’invenzione prospettica finge di risolvere.
Prima dell’arte rinascimentale non è possibile trovare immagini di nuvole concepite come realtà fenomeniche. Quando compaiono sullo sfondo di dipinti, di mosaici o di rilievi dell’arte classica hanno una funzione esclusivamente simbolica. Tale valore magico-simbolico è stato intuito dalla poesia antica: una antica commedia greca, dal titolo Le nuvole, scritta da Aristofane, faceva dire ad un Socrate, messo in burla, che le nuvole possono mutare forma “a loro piacere”, a seconda di chi le stia guardando.
Nell’arte romana la rappresentazione di fatti politici e storici, di cui le famose colonne istoriate di Traiano e di Marco Aurelio o l’Ara Pacis sono degli esempi, non ha bisogno di documentare la realtà fenomenica, perché quei fatti sono proiettati in una dimensione senza tempo, che è quella del destino imperiale di Roma.
Nell’arte medievale, come in alcune lunette di San Vitale, le nuvole compaiono solo a titolo di segni, come punteggiature ovattate o geroglifici, alla stessa stregua delle rappresentazioni del soffio, del vento e dell’onda. La natura e il tempo atmosferico sono esclusi dal regno del divino e del sacro. L’ultraterreno stravolge ogni possibile riferimento all’esperienza quotidiana della vita.
Le nuvole cominciano ad avere sostanza solo con Giotto, e solo nel riquadro della morte di Francesco, ad Assisi: qui la loro presenza vuole indicare la realtà effettiva dell’evento. Ed è proprio in una di esse, tuttavia, che è possibile scoprire un ritratto maschile di profilo: una figura fantasma nella levità del vapore.
La pittura veneta del Cinquecento inventerà finalmente il paesaggio naturale, le albe, i tramonti, le tempeste, di cui Giorgione sarà maestro. Tutte le lagune, le campagne, le colline saranno per l’intero secolo accompagnate da nuvole immerse nella realtà della luce. In seguito, sulla sommità dei cieli barocchi, le nuvole, sospese quinte di bambagia, dialogheranno con gli altri dispositivi scenici, più veri del vero.
Perché le nuvole acquistino la loro definitiva naturalità dovremo uscire per sempre dal dominio dell’arte sacra e allegorica. La loro rappresentazione veristica avverrà solo con l’irruzione del pensiero razionale e scientifico, nel Settecento.
Per la loro evanescenza e la loro mobilità le nuvole sono imprendibili, eppure è possibile individuare in esse, come nelle macchie dei muri o nella cenere o nei guizzi del fuoco, delle forme, delle figure, dei segni, che lo sguardo di Leonardo ci ha insegnato a trasformare in “invenzioni mirabilissime”. Sembra che, come aveva detto Leon Battista Alberti, cui Mantegna sembra aver dato ascolto, la natura si diletti di dipingere se stessa. La nuvola grigia di pioggia, fermata nel cielo della Camera degli sposi per tutto il tempo della nostra presenza, sta indicando che non solo sopra la nobiltà dei principi corre il destino ineluttabile del tempo, ma anche su di noi.In molte altre immagini vaporose, oltre che in questa, l’artista inserisce volti, figure, corpi. Il suo scopo, stupenda metafora dell’arte stessa, è quello di sfidare lo spettatore ad aguzzare lo sguardo fissandolo nei dettagli, penetrando al di là della prima apparenza dei segni: in questo occhio di cielo l’artista disegna il proprio autoritratto come in una sorta di firma consegnata alla fugacità della nuvola.
Osserva il Trionfo della Virtù di Mantegna e, nella galleria che segue, i dettagli delle nuvole antropomorfe che caratterizzano l’opera.
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Andrea Mantegna, pagine estratte dal corso dell’Arte di E.L. Francalanci
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Il professor Ernesto L. Francalanci è l’autore del corso dell’Arte.