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Olafur Eliasson e Minik Rosing, Ice Watch.
Con il supporto di Bloomberg.
Installazione: Bankside, esterno della Tate Modern, 2018.
Fotografia di Justin Sutcliffe © 2018 Olafur Eliasson.
Non abbiamo più tempo: dobbiamo agire adesso per salvare il nostro Pianeta. Lo dicono anche gli artisti attraverso le loro opere, soprattutto negli ultimi tempi, dato che il tema ambientale è tornato alla ribalta dell’opinione pubblica nelle recenti, infiammate manifestazioni sul global warming.
Tra i più celebrati nomi internazionali che da tempo lavora sul rapporto tra arte, ambiente, tecnologie, Olafur Eliasson (Copenhagen, 1967) nel dicembre 2018 ha portato gli iceberg della Groenlandia a Londra: 24 blocchi di ghiaccio, 110 tonnellate in totale davanti alla Tate Modern – museo prestigioso che da luglio 2019 gli ha dedicato una straordinaria retrospettiva – e altri 6 all’ingresso del colosso dei media “Bloomberg”, che ha sponsorizzato l’impresa titanica. I passanti hanno potuto così vedere e toccare con mano cosa sta succedendo nella calotta artica, assistendo, impotenti, allo scioglimento di questa monumentale e temporanea opera d’arte.
Molto più piccola, ma altrettanto potente nel messaggio che trasmette, è l’opera che l’artista cinese Nut Brother (Shenzhen, 1981) ha creato usando un aspirapolvere nell’inquinatissima Pechino: per cento giorni, egli ha raccolto le particelle tossiche che sono nell’aria della capitale cinese, comprimendole e trasformandole poi in un mattone. Un gesto semplice ed efficace, che denuncia i livelli di estrema tossicità dell’aria cinese: quanti mattoni possono essere costruiti con questa polvere mortale?
Dalla Cina sono molti gli artisti che, sensibili ai temi ambientali, hanno lavorato con performance, azioni e installazioni destinate a scuotere l’opinione pubblica su questi temi: Cai Guo-Qiang (Quanzhou, 1957) ha fatto approdare l’Arca di Noè alla Power of Art Station di Shanghai: si tratta di un vecchio peschereccio che l’artista ha realmente fatto navigare sul fiume Huangpu, costruendovi durante la traversata 99 animali di pezza, per denunciare la crisi ecologica dei mari e dei fiumi del suo Paese, come evidenziato dagli alti livelli di smog nell’aria delle sue città, e dall’incidente del 2013 in cui 16.000 suini morti sono stati ritrovati mentre galleggiavano lungo il fiume Huangpu.
Nel 2004 Cai Guo-Qiang aveva creato nove tigri, trafiggendole come dei San Sebastiano da miriadi di frecce: l’espressione del dolore lacerante e la contorsione dei loro corpi non lasciava certo indifferenti i visitatori dell’installazione al Massachussetts Museum of Contemporary Art.
Più sottile e meno violenta a primo impatto è invece l’opera di Mark Dion (New Bedford, Massachusetts, 1961) che in giro per il mondo ha creato Libraries, librerie sulla storia ornitologica di grandi metropoli da egli stesso studiata e poi simbolicamente riprodotta addobbando un grande albero secco con specie di uccelli, oggetti e libri che raccontano nei secoli della loro evoluzione: seguendo il volo e le vicende dei volatili urbani, Dion ha provato a classificare e poi ad analizzare le trasformazioni ambientali delle metropoli del suo tempo.
Se in queste opere il pubblico non può che assistere impotente alla tragedia ambientale messa in scena dagli artisti, altre ricerche invece coinvolgono attivamente il visitatore, chiedendogli di compiere vere e proprie azioni “di salvataggio del pianeta”.
Il padre di tutti è Joseph Beuys (Krefeld, 1921, Düsseldorf, 1968), artista tedesco che, attraverso azioni anche estreme e poetiche installazioni, ha cercato di sensibilizzare il pubblico sui temi ambientali e sociali. Nel 1982, invitato alla settima manifestazione “Documenta” a Kassel, con l’aiuto di numerosi volontari ha avviato la piantagione di 7000 querce nella cittadina, ciascuna delle quali accompagnata da una stele di basalto: un gesto semplice, quale quello di piantare un albero, diventa attraverso il coinvolgimento della popolazione un messaggio potentissimo che già negli anni Ottanta invitava a riflettere sui temi ecologici.
Nello stesso anno, Andy Warhol chiedeva al pubblico con l’opera Fate presto! di portare un contributo per risollevare Napoli dal terremoto devastante appena accaduto: lo faceva riproducendo su tre tele il messaggio “Fate presto” che il quotidiano “Il Mattino” aveva pubblicato poco prima, chiedendo a sua volta aiuto alla comunità dei lettori del giornale.
In tempi più recenti artiste come Enrica Borghi (Verbania, 1966) e Francesca Pasquali (Bologna, 1980) hanno scelto di utilizzare gli scarti plastici e industriali per creare opere di grandissimo impatto.
Enrica Borghi, tra le principali esponenti della cosiddetta Trash Art, l’arte che lavora con i rifiuti, assembla materiali di scarto, quali bottiglie di plastica trasparenti o colorate, per creare abiti da gran serata o con la spazzatura si cuce vestiti e maschere.
Francesca Pasquali da anni lavora direttamente con le aziende, andando a scovare materiali fallati, dismessi e potenzialmente inquinanti e trasformandoli invece in meravigliose installazioni. Qualche anno fa, con l’azienda bolognese Ilip, ha realizzato Glasswall, una parete fatta di centinaia di migliaia di bicchieri di plastica che sono diventati un muro sul quale venivano proiettate luci e suoni che, attraverso dei sensori, mutavano con il passaggio del pubblico.
Alla Fondazione Thetis, a Venezia in Biennale, ha creato un’enorme alga marina fatta di 650 chili di elastici verdi, gialli e marroni.
Nel 2018 è stata chiamata come testimonial del movimento di dismissione della plastica, a partire dalle cannucce da cocktail, dal nome di “The last straws”. Durante la performance live, organizzata da Antidote Festival, Pasquali ha composto un’opera fatta di centinaia di migliaia di cannucce da bar: tagliate a diverse altezze e assemblate su una base di plexiglas colore azzurro lucidato a specchio, le cannucce hanno formato la baia di Sydney, diventando una vera e propria opera d’arte tridimensionale ora nella Collezione dell’istituzione australiana.
Francesca Pasquali è stata profondamente ispirata dalla ricerca di artisti famosi che hanno trasformato la materia di scarto in opere d’arte: da Alberto Burri, tra i principali esponenti dell’Informale cosiddetto materico, a Antonio Scaccabarozzi, protagonista della pittura concettuale italiana degli anni Settanta, che utilizzava i fogli di polietilene trasparenti e colorati per creare installazioni ambientali e opere a parete, monocrome o formate da più strati di colori diversi: i loro nomi sono “Ekleipsis” e “Banchise”. Le prime, infatti, strato dopo strato cancellano il colore del foglio precedente, mentre le seconde ricordano le banchise di ghiaccio, eppure sono fatte di materiali che, se abbandonati, possono distruggere il nostro ecosistema, inquinandone le acque e le terre.
Dalle Banchise di Scaccabarozzi ai ghiacci di Eliasson, con i quali abbiamo aperto questo post, quel che ci insegnano gli artisti, allora, è che se dobbiamo fare presto a salvare il Pianeta, ancor meglio allora se questo “fare” corrisponda a “creare”.
Per approfondire…
Link esterni
Osserva l’installazione Glasswall, di Francescasca Pasquali nel video…