
Facciata di Palazzo Ranzi con il busto di Fede Galizia, Trento. Opera di Andrea Malfatti.
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, mentre in Italia – e poi in tutt’Europa – s’imponeva l’arte di Caravaggio con la realtà vibrante di chiaroscuri che raccontavano il mondo del mito e della Fede, due artiste dipinsero delle opere assai diverse da quelle del grande maestro lombardo. Le loro nature morte, all’apparenza quiete e silenziose, custodiscono tuttavia qualche insospettabile segreto…
Fede Galizia, nature morte con… teste umane!
Della vita di Fede Galizia (1578-1630) si sa ben poco. Nata a Milano, figlia dell’artigiano di origine trentina Nunzio Galizia, apprese dal padre l’arte della miniatura, ma preferì fin dalla gioventù dedicarsi alla pittura a olio, in particolare al ritratto, alle pale d’altare e alle scene da camera; il genere in cui, però, si affermò ed ebbe maggiore successo fu senza dubbio la natura morta. Condusse un’esistenza riservata, lontana dalle ribalte mondane, all’insegna della laboriosità e della Fede; secondo le cronache, la pittrice morì durante la terribile pestilenza del 1630 che sterminò la metà della popolazione di Milano.

Nell’ambiente artistico lombardo di fine Cinquecento, circolavano le opere degli artisti nordici e fiamminghi che Fede ebbe modo di ammirare e dalle quali trasse ispirazione per una resa realistica e meticolosa delle forme e dei colori. Tuttavia, la pittrice milanese mostrò un talento personale, anticipando le mode e i tempi: una sua tela del 1602,Alzata con prugne, pere e una rosa, rappresenta infatti la più antica natura morta conosciuta dopo la celebre Canestra di frutta di Caravaggio, conservata alla Pinacoteca Ambrosiana. Le nature morte di Fede Galizia si distinguono per una composizione armoniosa ed equilibrata nei cromatismi che si ripete nelle diverse varianti: su fruttiere di ceramica o alzate d’argento, sono disposte mele e pesche, pere e ciliegie, prugne e grappoli d’uva modellate da una luce morbida e irreale che le fa emergere dallo sfondo scuro.
La pittrice dipinse anche dei soggetti religiosi.
Tra questi ce n’è uno che ebbe grande fortuna tra le donne artiste del XVII secolo, quali Artemisia Gentileschi e Lavinia Fontana: Giuditta che decapita Oloferne.
Nelle differenti versioni della tela – custodite oggi tra gli Stati Uniti, la Galleria Borghese di Roma e alcune collezioni private del Nord Italia – l’eroina israelita, ingioiellata da capo a piedi e con indosso preziosi abiti del tempo, si presenta con un’espressione serena, quasi distaccata. Con una mano stringe il pugnale, mentre con l’altra si appresta a depositare la testa mozzata del generale assiro in un cesto che la sua ancella, avvolta nella penombra, le sta porgendo.
Nonostante il tema forte e cruento, nei dipinti di Fede Galizia tutto sembra assolutamente quieto, privo di tormenti, privo addirittura di vita, come se il capo di Oloferne fosse… uno dei frutti delle sue nature morte!

Clara Peeters, nature morte con… autoritratto!
Anche per Clara Peeters (Anversa, 1594 – ? post 1621) si hanno pochi dettagli biografici. Probabilmente era originaria di Anversa, dove si formò in ambito familiare; in seguito, si trasferì ad Amsterdam e poi all’Aia, guidando una piccola bottega di pittori. In assenza di opere datate dopo il 1621, si pensa che la pittrice abbia smesso di dipingere dopo essersi sposata, come accadde alla contemporanea Judith Leyster. Anche sulla data della morte di Clara Peeters non ci sono certezze: di sicuro avvenne dopo il 1621, ma c’è chi propone addirittura negli anni Sessanta del XVII secolo.
Oggi si conoscono una quarantina di opere firmate «CLARA PEETERS» o «CLARA P.», molte delle quali sono datate, tra il 1607 e il 1621. Alcuni dei suoi dipinti, tra i quali Natura morta con formaggi, mandorle e brezel, portano la sua firma incisa sul lato del manico del coltello raffigurato, il tipico bruidmessen (il “coltello da sposa”) prodotto dagli argentieri delle Fiandre verso la fine del Cinquecento.

Clara Peeters si specializzò in nature morte con cibo, inaugurando la tradizione degli ontbijtjes olandesi, “pezzi per la colazione”, e dei banketjes, “pezzi per banchetti”. I suoi dipinti, a volte anche di grandi dimensioni, erano destinati a ricchi collezionisti: composizioni di fiori, selvaggina e pesci, gamberi e ostriche, formaggi e torte, esposti su lussuose tavole imbandite accanto a saliere, boccali da cerimonia, coppe, porcellane cinesi, stoviglie preziose e monete d’oro.
La pittrice era molto affascinata dalla luce che si riflette sulle superfici concave o convesse degli oggetti metallici, in particolare sul peltro. Si raffigurava spesso nel riflesso dei calici, nei piatti e delle coppe di molti dei suoi dipinti: ad esempio, nella Natura morta con fiori, coppa d’argento dorato, mandorle, noci, dolci, brezel, vino e brocca di peltro, esposta al Prado di Madrid, l’artista ha dipinto il suo autoritratto per ben tre volte sulla coppa dorata e addirittura quattro volte sulla brocca, quasi volesse dire a noi che oggi osserviamo il suo quadro: «Ci sono anch’io, sono una pittrice, ricordatevi di me!».

Clara Peeters, Natura morta con fiori, coppa in argento dorato, mandorle, noci, dolci, panini, caraffa per vino e peltro, 1611, olio su tavola, Madid, Museo Nacional del Prado.
SPUNTI DIDATTICI
Analizza e confronta
Far cercare alla classe altri dipinti che rappresentano il soggetto di Giuditta e Oloferne (Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Caravaggio, Giulia Lama…), trovando le analogie e le differenze rispetto alla versione di Fede Galizia.
“Cercasi Clara disperatamente”
Invitare studentesse e studenti, a piccoli gruppi, a scovare nelle nature morte di Clara Peeters – in particolare sulle superfici specchianti di brocche, bicchieri e cucchiai – gli autoritratti che la pittrice ha sapientemente nascosto nelle sue composizioni.