Théodore Géricault, La Zattera della Medusa, 1818 Museo del Louvre, Parigi (pubblico dominio)
A un anno esatto dalla scoperta del Coronavirus e da tutto quello che ne è conseguito, e che ancora ci mette a dura prova cerchiamo di trovare motivazioni e ispirazioni per resistere e ripensarci, anche nel difficile ruolo di docenti. Docenti che devono saper trattare con la massima cura i giovani studenti, tra annunci di terze ondate, maremoti organizzativi e oceani di notizie e decreti. L’arte ci può offrire immagini e metafore per affrontare il presente, stimoli e spunti per inventare un nuovo modo di pensare e di interpretare le cose… forse, crediamo, anche salvarci.
Il mare in tempesta, il diluvio, la zattera di salvataggio: basta citare questi tre elementi per riandare con la memoria al capolavoro di Théodore Géricault (Rouen, 1791 – 1824): ispirato a un fatto realmente accaduto, il naufragio della Méduse, l’opera era anche potente metafora della situazione incerta nella quale si trovava la Francia della Restaurazione, animata da violenti conflitti sociali.
Ma chissà se Géricault poteva mai immaginare che la sua opera, a distanza di secoli, potesse ispirare l’arte del nostro tempo, diventando potentissima icona anche per raccontare cambiamenti, conflitti e, non ultime, le intense migrazioni di oggi.
Visibile a questo link è la fotografia digitalmente rielaborata di Hu Jieming (Shanghai, 1957), tra i più rappresentativi artisti cinesi contemporanei: l’opera rappresenta una moderna Zattera della Medusa. Una vela rossa, tesa al vento, si gonfia e spinge una imbarcazione affollata da una popolazione dai tratti orientali che si destreggia in un mare in tempesta: i naufraghi raccontano della storia recente della Cina, ripercorrendone i momenti principali, dalla rivoluzione maoista, come nel gruppo di figure in bianco e nero sullo sfondo con i pugni alzati, al conflitto tra tradizione e modernità, che emerge dal confronto tra il calligrafo antico a destra della composizione e la chiatta fatta da bottigliette di bibite di importazione americana.
Annegata in un mare rosso cupo è la Zattera della Medusa – o quel che resta di essa – dipinta dall’artista austriaco Martin Kippenberger (Dortmund, 1953 – Vienna, 1997), noto per la sua ricerca irriverente e provocatoria. I suoi naufraghi sono descritti con rapide, violente pennellate, che si concentrano sui volti e sulle espressioni disperate.
La potenza di alcuni elementi iconografici del modello di Géricault ha ispirato un intero ciclo di dipinti: fra le figure rappresentate troviamo quella riversa, morente, che si trova a sinistra della Zattera del 1818, e che qui occupa tutto il campo visivo, rappresentando un corpo riverso nella spiaggia, dove il rosso imbeve la sabbia; la tragedia si è consumata, e il mare, calmatosi, pare suonare a requiem.
L’opera ci coinvolge, e la nostra mente scorre, e riflette, su quante immagini di reali naufraghi, migranti e non, abbiamo recentemente visto, e forse troppo velocemente dimenticato.
Diversi i presupposti e il risultato visuale della Zattera dell’Illusione di David LaChapelle (Fairfield, 1963), artista e regista statunitense noto per le sue immagini patinate che hanno per soggetto i protagonisti dello star system contemporaneo. Il fotografo si ispira ancora al modello francese del 1818 per raccontare, con un collage rielaborato digitalmente, il crollo dei valori e la miseria delle illusioni del nostro tempo, ma il risultato contiene e palesa una certa ambiguità: LaChapelle, infatti, è anche fotografo richiestissimo dalle stesse celebrities che qui annega nel maremoto, mettendo tuttavia bene in vista corpi perfetti come fossero scolpiti (e ritoccati con Photoshop).
Si dimenano in un’acqua verdastra anche altri naufraghi di LaChapelle, vittime di un diluvio contemporaneo che travolge le insegne kitsch dei grandi fast food e degli hotel di Las Vegas: qui il fotografo americano cita esplicitamente un’altra icona della storia dell’arte: il Diluvio universale affrescato da Michelangelo Buonarroti cinque secoli prima nella Cappella Sistina. Un’altra immagine potentissima, che continua a ispirare l’arte del nostro tempo.
Anche l’artista statunitense Bill Viola (New York, 1951), padre della video-arte internazionale e fortemente influenzato dalla cultura dell’Italia rinascimentale, si lascia ispirare dalle iconografie della Zattera e del Diluvio. The raft, realizzato nel 2004, descrive l’attesa di un gruppo di uomini e donne del nostro tempo, in un paesaggio sospeso. Il tempo, al rallentatore come è tipico nelle opere di Viola, lentamente ci mostra un’ondata di acqua che violentemente li investe, travolgendoli e sconvolgendone ogni piano, ogni precedente aspettativa. Si trovano, dopo questa raffica inattesa, uno abbracciato all’altro, a proteggersi, a sostenersi, a rialzarsi: uniti nella volontà di affrontare il dramma appena accaduto, e, forse, di superarlo assieme.