Maurizio Cattelan, Christmas 95, 1995, Neon, 38 x 82 x 4 cm
Foto: STUDIO BLU-Giulio Buono – Courtesy: Maurizio Cattelan’s Archive
Sono molti gli artisti che diventano archeologi contemporanei, la cui opera scava nel tempo, cercando di ricostruire la storia e le ideologie che la hanno segnata e analizzandone il linguaggio e le iconografie, anche in modo critico e dissacrante: da un lato, per far riflettere sulla loro forza simbolica, dall’altro per ricordare che dietro i simboli stessi si celano spesso violenze, imposizioni, conflitti e dittature ancor oggi esistenti.
Natale si tinge di rosso – ma per provocare il pensiero pubblico e scatenare il dibattito politico – Maurizio Cattelan, nel 1995, sfruttando il simbolo della stella cristiana dell’Avvento, rievoca gli anni drammatici delle Brigate Rosse, riprendendo la firma con la quale i brigatisti firmavano le lettere anonime che accompagnavano le loro rivendicazioni di violenze e rapimenti.
La stella di Cattelan si moltiplica in una miriade di stelle e stelline rosse nell’opera di Franco Angeli (Roma, 1935-1988), artista esponente della pop art italiana di cui abbiamo parlato anche nel precedente post. In questa opera, l’artista infatti Angeli lavora sulla simbologia della falce e del martello che costituisce il logo del comunismo, e che negli anni Sessanta si poteva vedere riprodotto un po’ dappertutto sui muri delle città. Angeli ripete il simbolo proprio per evidenziare la divulgazione di questo pensiero.
Come se fosse uno schermo cinematografico o televisivo, l’opera di Mario Schifano (Homs-Libia 1934 – Roma 1998), Compagni compagni (visibile a questo link), fa parte di un ciclo di lavori dove l’artista, anch’egli esponente della pop art italiana, riproduce le immagini e i simboli politici – in questo caso, quelli del comunismo italiano – come delle silhouette nere su fondi monocromi vivaci. In questo modo, l’artista riflette anche su come i fatti storici e politici vengano mediati, e a noi trasmessi, attraverso la televisione che negli anni Sessanta era un mezzo da poco diffuso nelle case degli Italiani.
Scegliere “da che parte stare” era, nel secondo dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, una questione fondamentale: gli artisti dichiaravano apertamente la loro posizione politica che spesso determinava in modo forte le scelte iconografiche delle loro opere. Il pittore siciliano Renato Guttuso (Bagheria, 1911- Roma, 1987), era uno di quelli che avevano le idee chiare: il suo partito era quello comunista, il suo linguaggio era quello realista. La sua arte doveva trasmettere tale dottrina e per farlo doveva contenere le icone e i simboli “rossi”. Di questa scelta, sostenuta attraverso manifesti, scritti e centinaia di opere, ci dà fedele dimostrazione un suo grande dipinto, realizzato nel 1972 e dedicato a ricordare i funerali del leader del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti (visibile a questo link), otto anni dopo la sua scomparsa.
Il rosso domina incontrastato: rosse le bandiere che si alzano nel cielo, in una folla di oltre un milione di persone che, in contrasto con le bandiere stesse, Guttuso decide di lasciare in bianco e nero. Lo fa per fare stagliare ancor più il simbolo politico, ma anche perché, nella folla stessa, egli riunisce i volti di Lenin, Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer e di molti altri esponenti politici del tempo, tra i quali due donne comuniste Dolores Ibarruri e Angela Davis, che in epoche e continenti diversi hanno lottato contro il fascismo e la segregazione razziale; si intravvedono anche Stalin e Brezhnev, leader russi dopo Lenin; nella folla, vi è anche Guttuso: partecipa egli stesso alla storia del suo tempo, ha scelto da che parte stare e lo dichiara con orgoglio.
La presenza di Lenin, Stalin, Brezhnev nel dipinto di Guttuso ci racconta anche delle strette relazioni, ideologiche, politiche e culturali che nel secondo dopoguerra vi erano tra la Russia di Stalin (e poi Kruscev) e l’Italia di Togliatti.
Gli artisti del nostro Paese erano fortemente influenzati dalle immagini celebrative del regime comunista che Stalin imponeva agli artisti del suo Paese, come dimostrano le opere di Viktor Petrovič Žurakovskij e Levin Evgeni Nisonovich, tra gli esponenti del linguaggio realista sovietico: tale movimento si caratterizzava per una magniloquente celebrazione della vita del popolo stalinista, spesso raffigurato intento a costruire la propria nazione, nel lavoro dei campi e nelle fabbriche, o a celebrare il proprio leader in manifestazioni di folla festante. Era così dipinta una grande Russia, come la aveva voluta e imposta dal dittatore, nascondendone le efferatezze e le miserie.
Dal nero al rosso, e viceversa, quel che l’arte moderna e contemporanea ci racconta, attraverso questa carrellata di opere, è sempre la sua difficile posizione, tra rappresentazione del vero e mistificazione dei fatti in base all’ideologia di appartenenza: un’ideologia a volte scelta dagli artisti forzatamente, a volte strategicamente abbracciata, per fini economici e di celebrità.
Il Sessantotto italiano è sicuramente stato un momento incandescente, dove per la prima volta intellettuali e studenti, artisti ed operai sfilano assieme, rivendicando i propri bisogni e le proprie esigenze economiche, sociali, culturali.
Allora, molti artisti scelgono di essere “contro”: imboccano così una strada non facile, e sempre pericolosamente tesa tra libertà di espressione e compromessi di ogni sorta. Ieri, come oggi.
Numerosissime fotografie del 1968 ci raccontano cosa accadde alla famosa Biennale di quell’anno a Venezia, ammutinata dagli artisti stessi che decisero di non esporre le loro opere, o di esporle mostrandone il retro, e alla Triennale Milano che venne addirittura occupata dagli artisti, come nello stesso periodo stavano facendo gli studenti nelle Università e gli operai nelle fabbriche.
Per approfondire
Link esterni
Ilaria Bignotti è una degli specialisti che hanno collaborato al corso di Storia dell’arte del professor Ernesto L. Francalanci.
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